venerdì 6 marzo 2015

Ritorno a Buscate. (7 giugno 2013)

Paese vuol dire non essere soli
Paés vȍr dì che nissòn a l'é daparlȕ
Da un'idea di Guglielmo Gaviani

Due parole per cominciare.
Questa sceneggiatura è nata su una proposta dell'ex Presidente del Movimento terza età di Buscate
Mariuccia Pisoni che mi ha chiesto di dare una forma ad un materiale molto eterogeneo formato da
poesie dialettali di autori locali e di altre della tradizione lombarda ancora oggi tramandate dai
nonni alle nuove generazioni. A questo materiale iniziale ho poi aggiunto due fiabe e altre testi
(filastrocche, cantilene) sempre facenti parte di quel patrimonio tradizionale locale.
Ho avuto lo spunto per dar forma a questo lavoro da una celebre passo di Cesare Pavese.
Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli,
sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei
resta ad aspettarti. Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi, 1950.
Da qui nasce la storia di un uomo che, dopo essere stato via per tanti anni dal suo paese, quando va
in pensione decide di tornare al suo paese d'origine e scopre le tante differenze positive e negative
che nel frattempo sono intervenute. Il filo conduttore è la ricerca di ciò che caratterizza la nostra
comunità come lingua e tradizioni orali, cultura materiale e lavoro.
Il testo che segue è la sceneggiatura completa del lavoro alla quale, per una migliore comprensione
dei contenuti, sono state aggiunte le traduzioni dei testi dialettali. Per esemplificare il metodo di
scrittura del dialetto si è allegato un glossario con i simboli diacritici utilizzati.

Testo della sceneggiatura.

---Paés paés ---
di Elio Pisoni
Paés paés
Paés paés
tré cö un paés
da bocia t'ho lasòo
da végiu sun turnòo
a stòla a mé casina ho cercòo
ma nanca a cò ho pü truòo.
Citò citò scurtés
dòmi indrée ul mé paés
paées curtés.
Paese paese
Paese paese
tre case un paese
da ragazzo ti ho lasciato
da vecchio son tornato
la stalla, la mia cascina ho cercato
ma neanche la casa ho trovato.
Città città scortese
dammi indietro il mio paese
paese cortese.

Narratore
Sono stato via 50 anni da Buscate ed ora che sono in pensione mi sono chiesto “ dove posso passare
il resto della mia vita?” e la risposta è stata “al mio paese, Buscate”.
E così sono tornato.
Ho preso il treno a Milano e poi la Nord per arrivare a Castano. Mi sono detto “da Castano a
Buscate ci sono solo tre chilometri, male che vada, li posso fare anche a piedi”.
Detto fatto.
Di pullman alla stazione Nord neanche l'ombra e così ho preso il viale di tigli per arrivare al ponte
sul Villoresi e poi alla piazza del paese.
Castano mi sembra diventata una cittadina: quanti negozi e quanta gente in piazza. Chissà se sarà
diventato così anche Buscate.
Passata la chiesa di San Zenone, prendo la strada per il cimitero e preferisco andar giù per lo
stradino in terra battuta che costeggia il Villoresi.
Pochi minuti di camminata ed ecco la prima cosa che vedo è un altissimo campanile che non
ricordavo così imponente e squadrato. Man mano mi avvicino capisco che la chiesa vecchia con il
suo esile ed elegante campanile che ricordavo bene non c'è più: al suo posto una chiesa in cemento
armato enorme e maestosa che sovrasta con la sua mole imponente di gran lunga tutte le case.
“Chissà dove è finita la gésa végia !”

----A gésa vegia----

di Pinuccia Merlotti

A gésa végia (1)
A mia gésa végia
Se cun ul mè penser a turnu indré
ma vedu anmò tuséta in da mia gésa vegia.
Da lì sun stoi batazò e cristiona sun diventò.
O’ ricevù tuti i sacramenti
accompagno da tonta genti ca man vurù bèn.
E urmoi in lò in paadis
a godi i fruti di sò sacrifis.
Sa sarusu i ogi un mumentu
ma por da risintì
i preghier da a mesa in latèn, udur d’incensu,
u organ, i conti chi rallegrean
ul còr da tonci.
Oh! Quonti insegnamènti ò ricevùu
in da gésa vegia o Signur par
mezu di tò Pastùr !......
Ma i tempi indean innanzi, a pupulaziun
la crasèa e ul don Mariani
l'à pansò ben da fon vuna pisè
gronda e maestusa par i generaziun
che i sarian vignùu.
Adas le chi tonda bala e lùminùsa,
par nò tonti preziusa
parchè la custa ul sacrifisi
da tùl chi da buscòo, a vita dul
nòs cuodu vegiu che par a gésa l'à dunò,
i pensier e i preucupazion
dul don Isella el don Gesuino
che nun sula lan finì ma l’an anca abelì.
Adas mitamas tùci d’impegn
parchè a gesa la sia sampar pina
da tonci cristian chi uservan i
cumandamenti e a seguì ul Signur
insema ai so Pastùr.

La chiesa vecchia
La mia vecchia chiesa
Se con il mio pensiero ritorno indietro
mi vedo ancora ragazzina nella mia vecchia chiesa.
Da li’ sono stata battezzata e cristiana sono diventata
Ho ricevuto tutti i sacramenti
accompagnata da tanta gente che mi hanno voluto bene.
Ed oramai sono là in paradiso
a godere i frutti dei loro sacrifici.
Se chiudo gli occhi un momento
mi sembra di risentire
le preghiere della messa in latino,il profumo dell’incenso,
l’organo, i canti che rallegravano
il cuore di tanti.
Oh! Quanti insegnamenti ho ricevuto
nella vecchia chiesa o Signore per
mezzo del tuo Pastore !......
Ma i tempi andavano avanti, la popolazione
cresceva e il Don Mariani
ha pensato bene di farne una più
grande e maestosa per le generazioni
che sarebbero venute.
Adesso è qui tonda bella e luminosa
per noi tanto preziosa
perché costa il sacrificio
di tutti quelli di Buscate, la vita del
nostro vecchio Parroco che per la chiesa ha donato
i pensieri e le preoccupazioni
di don Isella (2) e don Gesuino (3)
che non solo l’hanno finita ma l’hanno anche abbellita.
Adesso mettiamoci tutti d’impegno
affinché la chiesa sia sempre piena
di tanti cristiani che osservano i
comandamenti e a seguire il Signore
1 La chiesa parrocchiale del 1500 ha avuto numerose modifiche e aggiunte nel corso dei secoli. Negli anni '50 il
Parroco don Giuseppe Mariani (1890-1956) decide di abbatterla e costruire la nuova parrocchiale.
2 Don Mario Isella Parroco di Buscate dopo don Mariani.
3 Don Gesuino Locatelli Parroco di Buscate.

insieme ai suoi Pastori.

Arrivo alla Rungia gronda (4) : le acque escono fragorose dalle chiuse nel bacino e poi si incanalano
spumeggianti per raggiungere il lavatoio. Lo ricordo bene il lavatoio: mia nonna mi portava sempre
con lei quando andava a lavare la coperta pesante alla fine dell'inverno e mi portava con la carriola.

---Ul lavatoi----
di Loredana Branca e Elio Pisoni

Ul lavatoi
Da drè da mia casína,
a ghè ul lavatoi,
a le föi da sos,
e par lavò in da rungia gronda,
te da sbasos.
A ghe ancamò una quai dona
che la ven chi a lavò,
ma i tempi indrè,
a lea una via sensa pos.
A lea una prucesiun innansi e indrè,
da don, da sidel, da careti, e da mastél.
Tuta a via lea una fer,
da tanta genti ca gha vusea.
da chi gha ciciaea,
da chela la curea a drè al so scusò,
a chela ca gha ridea parchè ul saun la lasò andò.
E l'oqua la curea allegra e suridenti,
a vidè ca la servisea propi a tonta genti.
Adas sun chi a guardola ,
e l'ocqua le ammò chela,
ma le ul prugres ca la cambiò la scèna!

Il lavatoio
Dietro la mia cascina,
c'è il lavatoio,
è fatto di sassi
e per lavare devi abbassarti.
C'è ancora qualche donna
che viene qui a lavare,
ma in passato
era una via senza pace.
Era una processione avanti e indietro,
di donne, di secchielli e di mastelli.
Tutta la via era una fiera,
dalla gente che gridava,
di quelli che chiacchieravano,
di quella che correva dietro al suo grembiule,
di quella che rideva perché ha lasciato andare il sapone.
E l'acqua correva allegra e sorridente,
a veder che serviva a tanta gente.
Adesso sono qui a guardarla
e l'acqua è sempre la stessa,
ma è il progresso che ha cambiato la scena.
(4) Diramatore del Canale Villoresi dove sorge il Lavatoio

Proseguo sulla sponda e osservo dall'altra parte i boschi che vanno verso il Vigneto (5). Quanti campi
coltivati ! I boschi sembrano essersi ritirati un po' in disparte e anche la brughiera non c'è più. Forse
anche il fosso del Panperduto (6) oggi è spoglio e chissà se la colonnina della Miorina (7) è stata
dimenticata... Possibile che tutta quella devozione che c'era nelle processioni delle Rogazioni si sia
persa e non ci sia più nessuno che vada lì a mettere un lumino ai piedi della colonna.
Ma forse non c'è più niente come una volta: nemmeno la nebbia è più quella di quando ero
bambino.
(5) Storica Riserva di caccia di proprietà Lodi.
(6) Panperduto. In età romana venne costruito un canale, antesignano del Naviglio Grande, per trasportare merci,
pietrame, necessarie alla costruzione della Milano imperiale. Dalla cava di Angera (Stationa) venivano caricate le
imbarcazioni che dal Verbano scendevano lungo il Ticino, fino alla ripa di Somma Lombardo (a monte della rapide
del Ticino che non erano navigabili) e da qui discendevano con un canale di oltre 60 Km fino a congiungersi col
fiume Olona. Questo stesso fiume fu deviato nei pressi di Rho in modo da giungere al bacino della Vetra che
divenne il porto fluviale della Milano romana. Lo scrisse il Biscaro parlando di ‘navigium vetus‘. Il canale fu
distrutto da Federico Barbarossa per togliere l’alimentazione ai fossati milanesi e radere così al suolo la città di
Milano. La successiva grande piena del Ticino del 1177 erose le sponde del Ticino inghiottendo il canale. Due anni
dopo i milanesi iniziarono gli scavi del Naviglio Grande, denominando Panperduto l’antico tracciato che è ancora
evidenziato, oltre che nelle mappe antiche, anche nelle recenti dell’Istituto Geografico Militare( IGM).
(7) Colonnina della Miorina. Riportata nel 1789 fuori dal paese (era posizionata nel vecchio camposanto oggi parco
pubblico tra Via Manzoni e Via Villoresi) è stata sempre meta di processioni chiamate delle “rogazioni” per la
benedizione dei campi alla fine dell'inverno.

---A scighaia---

di Loredana Branca

A scighaia
La vegn pian pian sensa fò bacàn,
la vegn pian pian e ta pòr da ves i més i nùr.
Te vegn foa da cò,
e te vedi pù nisòn.
Ne cò, ne pionti, nanca ul campanèn.
Quondu a vignu cò dul lauò, e l'é scùr,
te vedi pù ne innansi, ne índrè,
te se pù nanca due te sé.
Sa sinti pù nanca i fracos, e te se spaesòo,
cumè un pasaè ca la perdù a còo.
Den in da scigaia a l'é un'avventura,
e pùr la ghe sampar stoi in da nostra pianura,
ma a vivi insèma a lé,
le sampar dura !
La nebbia
Viene (giù) pian piano senza far rumore,
viene pian piano e ti pare di essere dentro le nuvole.
Vieni fuori di casa
e non vedi più nessuno.
Non le case, ne le piante e neanche il campanile.
Quando vengono a casa dal lavoro ed è buoi,
non vedi più né davanti né di dietro,
non sai più dove sei.
Non si sente neanche un rumore e sei spaesato,
come un uccellino che ha perso la casa.
Nella nebbia è un'avventura
eppure c'è sempre stata nella nostra pianura,
ma vivere insieme a lei è
sempre dura.

Poi per fortuna scorgo una costruzione che conosco bene: la Torre dell'acqua (8) in mattoni rossi.
Questo è il simbolo del lavoro a Buscate: il suono della sirena montata su in cima, scandiva la
giornata di lavoro dei buscatesi che andavano in conceria o nelle officine e tessiture.
E' mezzogiorno, chissà perché non suona più. Trovo un vecchio signore che porta a spasso il cane e
chiedo spiegazioni. Mi dice: ” L'ultima volta che ho sentito suonare la sirena è stato quando il
Presidio ha vinto la sua battaglia contro la discarica...” .
“Discarica ? Presidio (9)? Ma dove, a Buscate ? Mi sembrava un paese così tranquillo... “ chiedo
curioso.
Mi guarda perplesso e poi “Ma dué ca te sé stoi ti? Non ha mai sentito parlare della Cava San
Antonio?”
“Certo, la cava di ghiaia...ma cosa c'entra la discarica? ”
“Ecco proprio lì volevano farci la più grande discarica della Lombardia e i buscatesi si sono
ribellati. Naturalmente i politici del Pirellone10, i buscatesi, li han chiamati subito egoisti “.

(8) Torre in mattoni dell'acquedotto comunale posta in un angolo della Piazza Baracca. Per anni ha avuto una sirena che
suonava a mezzogiorno.
(9) Presidio contro la discarica da realizzarsi nella Cava San Antonio autorizzata dalla Regione Lombardia e progettata
dalla multinazionale PROGESAM. Il Presidio davanti alla Cava è durato dal 5 agosto 1991 al 31 dicembre 1993
quando la Regione Lombardia ha rinunciato definitivamente al progetto.
(10) Palazzo Pirelli storica sede della Regione Lombardia.
---Egoisti---

di Anonimo

Egoisti
Eguisti gh'han dì a chi da Buscoo
ch' in andòi a difendi a tara.
Si vőran saé lur
ma l'é stòi dűra a vita di nos genti
par fő d'un buscu un bal prò
da a matina a sia a sapò
chela tara lì pina da sos ?
Fòghi capì a GESAM e a Regiun a rasùn
da chi pőr genti che han lasò
a giuventù da drée a Voloscia.
Si vőran saé quonti sacrifisi
han fői i nòs nòni e i nos pò
Eguisti ? A tara l'ea nanca nosta
a lauean suta padrun.
Ma Buscoo a l'é ul nos paes
e a tara a l'é da la g'ha or ben.

Egoisti
Egoisti hanno chiamato quelli di Buscate
che sono andati a difendere la terra.
Cosa vogliono sapere, loro,
com'è stata dura la vita della nostra gente
per fare di un bosco un bel prato,
dalla mattina alla sera a zappare,
quella terra lì piena di sassi ?
Fagli capire alla GESAM (11) e alla Regione le (nostre) ragioni
di quella povera gente che hanno lasciato
la gioventù dietro alla Valascia (12).
Cosa vogliono sapere di quanti sacrifici
hanno fatto i nostri nonni e i nostri padri.
Egoisti ? La terra non era neanche nostra,
lavoravamo sotto padrone.
Ma Buscate è il nostro paese
e la terra è di chi la ama.

----Adiu Buschi---

di Alessandro Ruggeri

Adiu buschi
Adiu, bèi buschi dul mé paés,
grandi o piscinìti ‘mé ‘na scés.
Adiu bèi straél umbrus,
ca i vüstu a få l’amur tanti murús.
Che pås, che tranquilitå, che puésia
a caminå sót’i piånti in cumpagnia;
prufüm da maóstar a Giügn e da s.lbüscu,
quanta umbrìa mi dåi al més da Ustu.
Adès sa pudaå pü in di sir da Ståå
andå a ciapå ul fréscu sü a stråå,
parché chéla discåriga lì adós
tra paciåm e udur l’avraå rüinaÅãaÅã tüsc.s.
Adiu bèi buschi di nósti paés,
ca si lì racólti in mésu a i nósti gés:
Cunå, BüscaÅãaÅã, Magnågu, Bianå, Sinågu,
Bursån, Daiågu e a Cèla
va ragórdan ‘mé quandu a natüra a l’éa bèla.
Ottobre 1991
(11) Azienda che ha presentato alla Regione Lombardia un progetto di realizzazione di una discarica di rifiuti solidi
urbani all'interno dell'area della Cava San Antonio di Buscate. La Regione ha autorizzato in un primo momento i
lavori che dovevano iniziare nell'agosto del 1991.
(12) Storica cascina e per estensione località che indica la zona di Buscate oltre il Canale Villoresi.

Addio boschi

di Alessandro Ruggeri

Addio, bèi boschi del mio paese,
grandi o piccoli come una siepe.
Addio belle stradine ombrose
che avete visto far l’amore tanti fidanzati.
Che pace, che tranquillità, che poesia
camminare sotto le piante in compagnia;
profumo di fragole a Giugno e di sottobosco,
quanta ombra mi avete dato ad Agosto.
Adesso non si potrà più nelle sere d’Estate
andar a prender il fresco sulla strada,
perchè quella discarica lì addosso,
tra cianfrusaglie e odori avrà rovinato tutto.
Addio bèi boschi dei nostri paesi
che siete lì raccolti in mezzo alle nostre chiese:
Arconate, Buscate, Magnago, Bienate, Sacconago,
Borsano, Dairago e Olcella
vi ricordano come quando la natura era bella.

---- Ricordi dei buscatesi ---

di Maria Ferrario

Quondu non sean pisciniti
Quondu non sean pisciniti
a giughean corda topa e brancos
a fean su un casèn, un burdél e un gron fracòs
a gh'ean tonci farfol , lusiö i ron e i scioti
e non a curean par i pròo
a sultò i rungeti felici e beoti.
D'astò a sìa i stal i briléan
e ul ciel l'éa un splendur.
Non urmoi a guardan pü ul ciel cunt'i so bai culur
a prefarisan stò lì impapinò tacò al televisur.
Oh mal'ea bal quan curéan in pintàra a curéan ciapò i śal
I nosti antenoti ian gron lauradur e galantom
han custruì paés citò e anca un Dòm (13)
man foi inparò a lauò, rispètu e educasiun
e i so insegnamenti nón han tegnù in cunsiderasiun.
Por gènti, ian propi puaiti
ma lur han lasò chi ul ciel, a tàra, ul mor, nìti.
Non han foi prugress
a san pü cusé inventò
han fina foi un cès anca in cò.
Urmoi ghan tucos
dané, benesar e cumuditò
e cum'ereditò a lasan chi ul mundu tutu inquinò.
O Buscò quontu tempu gh'é pasö
quondu a cantéan tonci scighò.
Menu mol che i buscaiti a guara l'han vinsciù
e a discorica la vèn chi pü
parché se prima a spusean da stola dumò d'invarnu
cun a discorica a duean spusì in etèrnu.

Quando eravamo piccoli
Quando eravamo piccoli
giocavamo a toppa e a prenderci
facevamo un casino, un bordello e un gran fracasso
c'erano tante farfalle, lucciole, rane e rospi
e noi correvamo per i prati
a saltare le rogge felici e beati.
D'estate alla sera le stalle brillavano
e il cielo era uno splendore.
Noi ormai non guardiamo più il cielo con i suoi bei colori,
preferiamo star lì impappinati davanti al televisore.
Oh com'era bello quando correvamo a piedi scalzi, a prendere le libellule
I nostri antenati erano gran lavoratori e galantuomini
hanno costruito paesi e città e anche il Duomo,
ci hanno fatto imparare a lavorare, il rispetto e l'educazione
e i loro insegnamenti noi li abbiamo seguiti.
Povera gente, erano proprio poveri,
ma loro hanno lasciato il cielo, la terra ed il mare puliti.
Noi abbiamo fatto progressi
non sappiamo più cosa inventare,
abbiamo fatto il cesso anche in casa.
Ormai abbiamo tutto
soldi, benessere e comodità
e come eredità lasciamo qui un mondo tutto inquinato.
Oh Buscate, quanto tempo è passato
quando cantavano le cicale.
Meno male che i buscatesi la guerra l'hanno vinta
e la discarica non viene più
perché se prima puzzavamo di stalla solo d'inverno
con la discarica avremmo puzzato in eterno.
(13) Duomo di Milano.

Mi squadra il vecchio signore col cane. E poi :“Ma ti chi te sé? Te ghé na focia che mi ho giò
vustu”.
Rispondo “Forse lei ha conosciuto mia nonna: a Lina d'ul sortu” [qui bisogna infilare altre
parentele e soprannomi]
Ormai il vecchio si è fatto prendere dalla foga del discorso e sembra l'acqua che esce a forza dalla
chiusa della Rungia Gronda (14).
“Sa cugnuséan tuci in paes una 'olta: a sìa indéan in stola d'invenu o d'estò suta ul purtun cun la
cadrega e sa fean di ciaciarodi... e ghéa sempar un quoivun c'al cuntéa-sù di robi ...”
“In dispati a gh'ea una quoi vegia ca la fea balò i fio...”
(14) Diramatore del Canale Villoresi sul quale è situato il Lavatoio.

---Solta solta calima---

Tradizione orale

Sålta sålta calimå
Sålta sålta
calimå
g'hó pagüa
da få bubà
hó mangiòo
un cugiò
da ris
sålta sålta
in paradis
ul paradis
l'é trópu bèl
sålta gió
da tri basèi
vun dü e tré
sati vótu e vintitri
vintitri e vintisés
sati vótu növi e dés
“... e sempii da fò strimì tuci... ”

Salta salta calamaio
Salta salta
calamaio
ho paura
di fare bubà
ho mangiato
un cucchiaio
di riso
salta salta
in Paradiso
il Paradiso
è troppo bello
salta giú
dai tre scalini
uno due tre
sette otto e ventitré
ventitré e ventisei
sette otto nove e dieci.

… e fiabe da far spaventare tutti...

---a gomba rusa---ul can da a Céla---

Tradizione orale (15)

A gomba rusa
Tånci ån få a Buscòo l'ea a fasta dul paés e i dònn tüci insèma inn andòi in
da a curti püs. grånda.
I dònn hann cumbinòo da få a casöa dul Bartan, una casöa cont'i cudighi. In
chi ann lå, gh'ea a miseria e i òman, par fåi strimì e mangiò tuscóss lur, han
pensòo da cüntaÅãghi-sü una sèmpia .
A sìa Sapò al g'ha díi ai dònn "dònn andam in ståla ca g'ho da divi una bala
roba"; e intan ch'eran lì han incumenciòo a sintì :"dònn dònn andée a durmì,
ga ven giòldi i ögi... a da murì, preghé Diu che nun va la månda, guardé in
l'åia ca ga vèn gió una gåmba" e dul bógiu d'ul capascé gh'é 'gnüu-gió una
gåmba rusa.
I dònn strimì hin scapòo in léci e i òman, püs. drisi, han mangiòo tuscóss lur.

La gamba rossa
Tanti anni fa, a Buscate, era la festa del paese le donne tutte insieme sono
andate nel cortile più grande.
Le donne hanno combinato di fare la cazzuola dal Bartan, la cazzuola con le
cotiche. Allora c'era la miseria e gli uomini, per farle spaventare e mangiare
tutto loro, hanno pensato di raccontare loro una storia.
La zia Sapò ha detto alle donne :"Donne andiamo in stalla che vi devo dire
una cosa" ed, intanto ch'erano là, hanno cominciato a sentire :"Donne donne
andate a dormire, vi vengono gli occhi gialli... dovete morire, pregate Dio che
ve la mandi (buona), guardate il alto che vien giú una gamba" e dal buco del
soffitto è scesa una gamba rossa.
Noi donne siamo scappate a letto e gli uomini, più furbi, hanno mangiato
tutto loro.


Ul can da a Céla

Ul can da a Céla l'é ståi invidåa a Bianå a spús.
Lü la fåi dü dì a mangiå nù parché l'ea d'andå a spús.
Al vå al vå al vå, a mesa stròo al troa ul lóo.
Sa farma, ga dis: - Adass té sé chi, ta mångiu, parché g'ho fåm.- E lü, ul can,
l'ha pensòo da dighi: " Te à mangiam adàs ca vóo a spús? Quandu ca vegnu
indrée c'ho mangiòo tanta cårni e a sun pusé gråss te me mångia".
E inscì l'é stoi...
L'é rivåa a Bianå a spús l'ha cuminciåa a mangiå a cårni, bé ul vèn in chél
modu lì.
L'ha cuminciåa a cantå: sa rigurdea pü dul lóo.
Intontu al vignea cå sü a stròo e cantea "la la la", al cantea, pansea pü al
lóo.
Ul lóo l'ea réståa lì ancamó a spiciòl:" Adàs ta mångiu, g'ho püs. fåm
ancamó da prima".
Ul can l'ea tan fürbu, l'ha díi: - Beh, dàm mångiami, però fåmi fò tri påss,
dopu te me mångia.-
Lü l'ha fåi: - Vün dü tri...Vrrr l'é scapåa cå e ul lóo adrée, adrée a ciapål.
L'ea lì par ciapål, al riva cå... g'ha saråa sü a purtina... al g'ha ü ul tèmpu
par paså pèna pèna...trac bac... ul lóo al g'ha ciapåa in büca ul cuàn.
E lú: - Insuma...par 'sta 'ölta låsam andå.-
Al g'ha díi: - Lóo sté gh'é
in buca? -
E ul lóo - Ul cüaaaaan!-
L'ha varta a buca e ul can l'é scapåa: gh'é vignu föa ul cüan da a büca
e l'é scapåa.

Il cane della Cella (16).
Il cane della Cella è stato invitato a Bienate a nozze.
Ha fatto due giorni a non mangiare perché doveva andare a nozze. Va,
va va, a mezza strada trova il lupo.
Si ferma, gli dice:"Adesso sei qui, ti mangio, perché ho fame." E lui ,il
cane, ha pensato di dirgli:"Devi mangiarmi adesso che vado a nozze?
Quando torno che ho mangiato tanta carne e sono più grasso mi
mangi". Così è stato...
E' arrivato a Bienate a nozze ed ha cominciato a mangiare la carne,
bere il vino in quel modo lì.
Ha cominciato a cantare: non si ricordava più del lupo.
Veniva a casa sulla strada e cantava "la la la"; cantava, non pensava più
al lupo.
Il lupo era restato lì ancora ad aspettarlo:"Adesso ti mangio, ho ancora
più fame di prima".
Il cane era tanto furbo, gli ha detto:" Beh,mangiami,però fammi fare tre
passi, dopo mi mangi".
Ha fatto:"Uno,due,tre..." Vrrr è scappato a casa ed il lupo dietro,dietro
a prenderlo.
Stava per acchiapparlo, arriva a casa...gli ha chiuso la portina...ha
avuto il tempo per passare appena appena...trac bac... il lupo gli ha
preso in bocca il codino. E lui (il cane):"Insomma... per questa volta
lasciami andare". e gli ha detto:"Lupo cos'hai in bocca?"
E il Lupo:" La codaaaaa!"
Ha aperto la bocca e il cane è scappato: è venuta fuori la coda dalla
bocca ed è scappato.
(15) Le due fiabe sono riportate nel libro di Guglielmo Gaviani, Sémpii, ed. ilmiolibro.it
(16) Cascina di Buscate in Via Manzoni a Buscate

“Avremmo mangiato volentieri anche noi la coda del cane: non fiō gh'aean sempar una fom
trémenda...”

---Mi g'ho fom---

Tradizione orale

Mi g'hó fåm.
-Mi g'hó fåm
-mångia ul stråm
-ul stråm l'é dür
-mångia ul mür
-ul mür l'é fåtu
-mångia ul råtu
-ul råtu al cur
-mångia i muur
-i muur in négar
-mångia a pesa
-a pesa la tåca
-mångia a cåca
-a cåca la spüsa
-mångiala tüta
-tüta l'é tropa
-mångian poca
-poca l'é minga
- mangian minga
“...e dopo s'and'ea in leciu, ma prima... a urasiun...”

Ho fame
-Ho fame
-mangia il letame
-il letame è duro
-mangia il muro
-il muro è sciàpo
-mangia il ratto
-il ratto corre
-mangia le more
-le more sono nere
-mangia la pece
-la pece attacca
-mangia la cacca
-la cacca puzza
-mangiala tutta
-tutta è troppa
-mangiane poca
-poca è nulla
...E dopo si andava a letto, ma prima un'orazione

----In léci mi a vö---

Tradizione orale

In léci mi a vö
In léci mi a vö
mi nun so sa lavarò
cascu e nun lavascu
quatar grosi la va dumondu
cunfasiun, cumaniun, l'öli sonto
e l'anima mia va la racumondu.

Vado a letto
Vado a letto
non so se mi alzerò
nel caso non mi alzassi
quattro grazie Vi domando
confessione, comunione, l'olio santo
e l'anima mia ve la raccomando.

Arriviamo così parlando al ponte e da lì mi stupisco di vedere un altro ponte giȏ da a Valascia, là in
fondo e oltre canale, una strada che prima non c'era e che ora porta l'antico nome di Via Ronché.
Chiedo al vecchio:
“Ma qui è venuto su un altro paese... e là in fondo c'è un altro ponte, anzi due...”
“Fomi nu parlò... ul cementu al vò avanti ca l'é un spavèntu...” “Chèl punti lò al servi par andò in
paes pasando daonti al Centro Gioventù Don Bosco e chélol l'é a circuvalasiun... adàss anche
Buscòo l'é diantòo mudèrnu...”

---Ul Centar Don Bosco---

di Pinuccia Merlotti

Ul Centar Don Bosco
Da un po’ d’onn sa parléa a Buscòo
dun uratori novu necesari da fò.
A nostra gioventù la ghea bisugn
dun spaziu novu mudernu e ben atresò
par ul do mila che adasi adasi al sa vicina.
Ul Don Gesuino cun ul sguardu innansi
Don Bosco l'ha interpelò e un patu segretu cun lù la cumbinò.
Dai buscotès cun ul cor grondi e curtes
i miliùn in subal fiucò
par ul Centar Don Bosco ca lea da fò.
Adas, chel cà lea un sogn e un prugètu
l'é giò realtò, l'é chi urmai ul Centar novu
vontu dul nos Cuodu e da tul chi da Buscò.
Giò prunta urmoi ghe anca a Capelina
cun ul Signor presenti che tuci al vedi e al benedis
e una invucaziun ma vegn dul cor:
o Don Bosco fò che a capéla la sia
sempar pina da giuentù in preghiera
alegra e suridenti par afruntò ul domà
incertu e deludenti.

Il Centro Don Bosco
Da un po' di anni si parlava a Buscate
di fare un oratorio nuovo.
La nostra gioventù aveva bisogno
di uno spazio nuovo, moderno e ben attrezzato
per il duemila che adagio adagio si avvicina.
Il Don Gesuino (17), con lo sguardo avanti,
Don Bosco ha interpellato e un patto segreto con lui ha combinato.
Dai buscatesi con il cuore grande e cortese
i milioni sono fioccati subito
per costruire il Centro Don Bosco.
Adesso, quello che era un sogno e un progetto,
è già realtà, è qui ormai il Centro nuovo
vanto del nostro Parroco e di tutti i buscatesi.
E' già pronta anche la Cappellina
con il Signore presente che tutti vede e benedice
e una invocazione mi viene dal cuore:
oh Don Bosco fai che la Cappella sia
sempre piena di gioventù in preghiera
allegra e sorridente per affrontare il domani
incerto e deludente.
(17) Don Gesuino Locatelli

“Ma almeno le scuole sono rimaste in Piazza San Mauro?” chiedo timidamente al vecchio col cane.
“Adèsso si chiama Omnicomprensivo, gnurant... e sono tutte lì dove una volta c'erano i campi dietro
la Villa Abbiate”.
Mi faccio temerario “E i muùn pa andò al cimitér , gh'inn pù?”
“Ne son rimasti pochi e quei pochi li usano come ombrelloni...”
“Ma almeno vedo che c'è ancora qualcuno che va in paese in bici” chiedo al vecchio che ormai è
diventato il mio accompagnatore.
“E si , tra una macchina e l'ola a gh'é ancamò un quoivun ch'al rischia d'andò in piassa in bicicletta
o a pée. Adas par fò dū pòs ai fiő han inventòo ul pedibus...

---A biciclèta---

di Maria Ferrario

A bicicleta
Intontu ca pedolu
e ma ven in focia un'arieta fresca,
sun drè a pansò a mia bicicletta.
A pansola pulidu, le una bala invensiun,
la vò in di santè,
e anca sui stradun.
Te ghe nù ul pansò dul bul,
ne da fò bensina,
e ul mundu non inquina.
La vò forti ,
o la vò pian,
ma te vor ti,
te po' druola ,o lasola lì.
Gha l'ò ul puaetu,
e anca ul sciuron,
la custa pocu da manutension.
Oh ! genti che bala invensiun !
Tignamala pisé in cunsiderasion !

La bicicletta
Intanto che pedalo
e mi viene in faccia un'arietta fresca,
sto pensando alla mia bicicletta.
La penso per bene, è una bella invenzione,
va nelle strade di campagna
e anche sullo stradone.
Non devi pensale al bollo,
ne devi fare benzin
e il mondo non inquina.
Va forte,
va piano,
come vuoi tu,
puoi usarla o lasciarla lì
C'è l'ha il poveretto,
e anche il riccone,
costa poco di manutenzione.
Oh1 gente, che bella invenzione !
Teniamola di più in considerazione!

Davanti alle scuole elementari scorgiamo la chiesa di San Pietro (18) e dico sarcastico al mio
accompagnatore : “ almeno quella – e faccio segno- è rimasta in piedi...”
Mi risponde “Si, certo e l'han anca restauròo”
Mi viene in mente la filastrocca che mi diceva la nonna...

---San Diunis---

Tradizione orale

San Diunis
Oh Santa Clara,
prestèm a vostra scara
da 'ndà in paradis
a truà ul San Diunis.
San Diunis l'è bel e mort
ghe nessün da faghi ul corpu,
gh'ea i Angar che cantean,
a Madonna la suspirea,
ul Bambin in ginugiùn.
Uh che bella urasiùn!
Chi ca la sa e chi la dis
andaran in paadis,
chi ca la sa nü o la disprendi
una barnasciò da scèndra su a lèngua.

San Dionigi (19)
Oh Santa Clara,
prestatemi la vostra scala
per andare in Paradiso
a cercare San Dionigi.
San Dionigi è morto
non c'è nessuno che gli faccia il funerale,
c'erano gli angeli che cantavano,
la Madonna che sospirava,
il Bambino in ginocchio.
Uh che bella preghiera!
Chi la sa e chi la dicembre
andranno in Paradiso,
chi non la sa o la dimentica
una manciata di cenere sulla lingua.
(18) Antica chiesa di Buscate attestata come Oratorio nella seconda metà del XIII secolo dal “Liber notitiae Sanctorum
Mediolani” di Goffredo da Bussero conservato presso la Biblioteca Capitolare di Milano. Lo stesso autore certifica

che a Buscate al tempo esistevano altre due chiese: Santa Maria e San Mauro.
(19) Uno dei primi atti del vescovo Ambrogio, eletto nel 374 dopo la parentesi ariana, fu quello di recuperare la salma di
Dionigi. La lettera del vescovo di Cesarea Basilio ad Ambrogio ci informa che il luogo dell'esilio e della sepoltura
era alquanto distante da Cesarea di Cappadocia, visto che per andarvi bisognava intraprendere un viaggio
difficoltoso. Basilio loda il suo prete Terasio per la generosità dimostrata nell'accompagnare in quel villaggio i preti
mandati da Ambrogio per prelevare il corpo di Dionigi, sfidando le difficoltà dell'inverno del 375-376, così rigido
che le strade rimasero chiuse fino a Pasqua (5 aprile). [Maria Grazia Tolfo, San Dionigi]

Costeggiamo il vecchio muro della Villa Abbiate (20) e dall'altra parte della strada non vedo più i
vecchi cortili di San Pietro.

(20) Le origini della Villa si fanno risalire al XVII secolo: il catasto teresiano del 1720 testimonia che la Villa era
costituita solo dalla parte della attuale proprietà Naggi. Sono stati costruiti successivamente prima il corpo "nobile"
della Villa (con l'entrata da Piazza Baracca) ed infine il cortiletto della fontana (con l'entrata da Via S. Pietro). Anche
il parco, posto dietro la Villa, è stato progressivamente ampliato: un muro divide ancora oggi la parte con il grande
prato più rustica (costeggiata dalla Via Cavallotti) da quella strutturata a giardino ricca di essenze pregiate e con una
impronta tipicamente "romantica". Chi ha contribuito in modo determinate alla attuale situazione architettonica della
Villa sono state la nobile famiglia di origine spagnola Ordoño de Rosales ed il Senatore Mario Abbiate. In
particolare due sono le personalità che hanno dato una impronta a questa Villa: Gaspare Ordoño de Rosales ed il
Senatore del Regno d'Italia Mario Abbiate.

---A curti vègia---

di Maria Ferrario

A mia curti végia (21)
Ma ven in menti a mia curti, a mia curti végia,
che par mè a le sampar una reggia.
Parchè la ma rigorda i mumenti pisè bai da a mia guentù.
Quando seam contenti da un po' da soo, par giugò cun tonci fiò,
sa giughea cun pocu o nien, cun una corda o a nascunden,
cun una figurina, o un quoi sassèn.
Ian curti pien da vita, da giuentù, da rundan, da nioo sutu i purtun.
Un dì, o vurù casciaden ul cò, a rivedè a mia curti,
a mia curti vegía, i me ogi in andoi su i mé vigi cò,
che al di d'incò in mes scarò.
Ul teciù cal vor stò su pù, e ai finestra che propri i esistan nù.
A lea una curti, una curti gronda, a lea una curti sensa padrun,
a lea da tuci, a lea da nison.
Ma chioí còo in stoi riparò, e ul so tuchetu an recintò.
Oh pora curti man tan cunsciò!!!
Ma den dul cor, a mia curti, a mia curti vegia, la rasta sampar,
par mé una reggia, ca la ma cunta una storia vaia,
foi da genti, da caratun, da stol, da tonta puartò,
ma da genti unesta, piína d'umanìtò.

La mia vecchia corte
Mi viene in mente la mia corte vecchia, la mia vecchia corte
che per me è sempre una reggia.
Perché mi ricorda i momenti più belli della mia gioventù.
Quando eravamo contenti per un po' di sole, per giocare in tanti ragazzi
si giocava con poco o niente, con la corda o a nascondersi
con una figurino o con qualche sassolino.
Erano corti piene di vita, di gioventù, di rondini, di nidiate sotto i portoni.
Un giorno ho voluto cacciar dentro la testa per rivedere la mia corte
la mia corte vecchia, i miei occhi sono andati sulle mie vecchie case,
che oggi sono mezze crollate:
il tetto che non vuol stare su più e le finestre che proprio non esistono.
Era una corte,una corte grande, era una corte senza padroni,
era di tutti, era di nessuno.
Ma le altre case sono state riparate e si sono recintati un pezzetto.
Oh povera corte, come ti hanno conciato!!!
Ma dentro il cuore, la mia corte, la mia corte vecchia, resta sempre,
pr me è una reggia, che mi racconta una storia vera,
fatta di gente, di carretti, di stalle, di tanta povertà,
ma di gente onesta, piena d'umanità.
21 Ci si riferisce alla corte lungo la Via San Pietro che è stata abbattuta per allargare la strada nel 1986.

Almeno il vecchio giardino nessuno l'ha toccato. Chiuso dentro ed inaccessibile, è ancora lì: una
ricchezza per tutti i buscatesi che sembra si svegli solo la primavera.

---Pesco in fiore---

di Maria Colzani, Il vecchio giardino, 1939 (22)

Pesco in fiore. Esile tronco addossato al muro del vecchio giardino, l'ho ritrovato in
un chiaro mattino di primavera, circonfuso di una nube rosata di teneri fiori. Al
tocco magico della primavera, dopo il lungo sopore invernale, dagli esili rami si è
sprigionata quell'adorabile leggiadria, delicata e pur rigogliosa, che presto cadrà in
virtù di un altro prodigio: il fiore diverrà frutto. In queste pure bellezze l'anima mia
non mai si sazia, ritrova la serena armonia delle cose immortali e in esse respira,
vive e si ritempra.
(22) Maria Colzani (1879-1977). Pittrice Milanese, appartenente a una famiglia di piccoli industriali, dopo studi
tradizionali frequentò l`accademia libera di pittura di F. Carcano, prendendo a modelli il Bazzaro e il Gola. Esordi
nel 1899 alla Permanente, alle cui mostre partecipò periodicamente. Nel 1900 espose alla IV Triennale
dell'Accademia di belle arti di Brera due pastelli, Nuda c Primavera; nel medesimo anno partecipò all'Esposizione
nazionale di Verona; nel 1906 a||'Esposizione nazionale di Milano; nel 1910-'11 e nel 1913 all`Esposizione
femminile di Torino (Lo scialle della nonna); nel 1914, 1917 e 1919 al Lyceum femminile di Milano; nel 1918 alla
Famiglia artistica milanese; nel 1919 a1l'Umanitaria e nel 1921 alla IV Esposizione nazionale della Federazione
artistica lombarda con il pastello I Pulcini e La chioccia. Durante il ventennio fascista si ritirò dalle manifestazioni
artistiche ufficiali in quanto socialista militante, legata sentimentalmente al socialista Vittorio Gottardi, amico del
Turati e di Anna Kuliscioff (vedi). Riprese a esporre negli anni Cinquanta e continuò a dipingere, benché quasi
cieca, molto avanti negli anni, dedicandosi contemporaneamente alla poesia in dialetto milanese. Nel 1969 si trasferì
a Gornate Olona (VA), dove mori. [Tratto da Dizionario biografico delle donne lombarde 568-1968, a cura di
Rachele Farina, ed Baldini & Castoldi, 1995]

Ci dirigiamo verso la piazza del monumento. “Ecco – dico – questo è proprio il centro del paese.
Non è cambiato molto: il monumento ai caduti, la torre dell'acqua, la Villa Abbiate. Non c'è più
Saghétu cont'a punpa da a bensina e Prandun (quel dal panetun) e nanca Ferrario , ul ciclista visèn a
tur da u oqua... ”.
Entriamo nell'altra piazza San Mauro e “Ma qui è cambiato tutto: la chiesa vecchia e il Municipio
con le scuole non ci sono più e nemmeno il cortile davanti alla chiesa. L'unica cosa rimasta è la
crocetta di San Carlo”. Il vecchio col cane mi guarda un po' sconsolato e dice:”E' il prezzo della
modernità , dicono. A mi al piasea pisé prima. Ma tuci i gusti hin gusti. E po chéla cruseta lì la foi
tanta da chela stròo che te poo nanca imaginò”.

---L'obelisco (23) di Buscate---

di Maria Ferrario

L'obelisco di Buscate.
Cum in tüci i paes e citò
Gh'hann piôsi e piôseti,
con un po' da pianti e banchetti.
anca a Büsc.a in fócia a Gésa,
ghe lì una coluneta.
sormontò da una cruséta.
Cora colunéta. quanti ann che te ghe
nišon a podan savé.
Le un ragórdu che ì nostar antenò
m'hann lasò chi cuma una testimoniasa da cristiian.
Pódas che ghea chi ì frò.
e han fai ìmprendi a pragó, lauó,
e han pórtò anca a civiltó.
Da tempu gha ne pasó e te vustù tóncì generasiùn,
quando i pasean danansi da ti i fean a genuflesiùn.
Genti unesti, strasciò dul lauó.
tanti fló e pócu pan da mangiò.
Se te pudea parlò
quanta storia te pudea cuntò.
Te se ragòrda quandu ì fiô i vignean föa da scöa?
I mìtean soquar e carta! in su i basalìtl e tüci a giügoÅN
in pìntara a brancös e sultò
come una ruscìò da pasaìtì in libertò.
Ghe ne pasò da ann e da stagiön,
ma l'ea sèmpar chela cansùn.
Te se ragòrda quandu ghe stoì ì bombardamenti?
Sinceramente anca tì te ghe vù pagüra.
parchè ghe tramò i tò fondamenti.
Quandu che hann demuli a Gésa, s'è ravultò tüta a pupulasiun.
san sìcur che ul to cör - se ben ca l'ea da sôss -
l'è andai in fibrilasiu.
Dopu un po' da tèmpu,
chi sò parchè, sensa cúlpa né pacò,
un brütu dì, in un oantù t'han sgiacò lò.
Di a verìtò te vìgnù ul magù.
al to poslu hann piantò tre piónti, che desulasiun...
a piôseta l'ha fea cumpasiun.
Finalmenti a piòsa l'hann rinuvò da capu e pé.
la par visti da spús.
ma a róba püs. bèla le che t'hann trapiantò in mesu al to postu d'unur,
lustròo, levigòo e rapiculòo, te sé propi un splendur!

L’obelisco di Buscate.
Come in tutti i paesi e città
che hanno piazze e piazzette,
con un po’ di piante e panchine,
anche a Buscate in faccia alla chiesa
c’è lì una colonnetta
sormontata da una crocetta.
Cara colonnetta, quanti anni hai
nessuno lo può sapere.
E’ un ricordo che i nostri antenati
mi han lasciato qui come una testimonianza cristiana.
Può darsi che c’erano qui i frati
ed hanno fatto imparare a pregare, lavorare,
e hanno portato anche la civiltà.
Di tempo ne è passato ed hai visto tante generazioni,
quando passavano davanti a te facevano la genuflessione.
Gente onesta, massacrata dal lavoro,
tanti bambini e poco pane da mangiare.
Se potevi parlare
quanta storia potevi raccontare.
Ti ricordi quando i bambini uscivano da scuola?
Mettevano zoccole e la carta sui gradini e tutti a giocare
a piedi nudi a prendersi e saltare
come uno stormo di passerotti in libertà.
Ne sono passati di anni e di stagioni,
ma era sempre quella la canzone.
Ti ricordi quando ci sono stati i bombardamenti?
Sinceramente anche tu hai avuto paura
perché hanno tremato le tue fondamenta.
Quando hanno demolito la Chiesa, si è rivoltata tutta la popolazione,
siamo sicuri che il tuo cuore, anche se era di sasso,
è andato in fibrillazione.
Dopo un po’ di tempo,
chissà perché, senza colpa né peccato,
un brutto giorno, in un angolo ti hanno buttato.
Dì la verità ti è venuto il magone.
al tuo posto hanno piantato tre piante, che desolazione…..
la piazzetta faceva compassione.
Finalmente la piazza l’hanno rinnovata da capo a piede
sembra vestita da sposa.
Ma la cosa più bella è che ti hanno rimessa in mezzo al tuo posto d’onore,
lucidata, levigata e sistemata, sei proprio uno splendore!

(23) Croce votiva di San Carlo (Arona,1538 – Milano,1584) testimonia il passaggio del santo e la liberazione dalla peste.
La colonna votiva era posta in origine in Piazza Baracca, solo dopo il primo conflitto mondiale fu trasferita davanti
alla Chiesa di San Mauro e sostituita dal monumento ai caduti con il fante contadino dello scultore Guido Bracchi..

“Beh -dico- adesso è tornata al centro della Piazza e qui, in questa piazza, 
si può sentire - davvero - di non sentirsi soli.

Paés vȍr dì che nissòn a l'é daparlȕ!
Paese vuol dire che nessuno è solo !

Sui titoli di coda

----Ul spegiu vegiu---

di Maria Ferrario

Ul spégiu végiu
Un póo da tempu fòo, una bàla matina
sun mitù drée a fòo un póo da misté in cantina.
O' guardòo in un visté végiu
e sensa saveél o' truòo un spégiu.
L'o'guardòo, l'o' rimiò e l'o' truòo upocu e tul smagiòo.
O! anca ti mi còr spegiu té sé vignu vegiu !
Peró anca se té sé upocu e brutu, par mè sé sàmpar bàal
parché te scundi i rughi daa mia paal.
I tempi bai in s-guòo cum'é ul ventu,
quondu gh'ean dés ghèi in sachéta, s'éan sèmpar cuntènti.
Mà rimieu in dul spegiu ogni matina,
a picinò i cavì cunt'a brillantina.
Sun cuntènta che t'ó truòo e un póo da valur te gh'é l'é ancamó
T'ó fòi una bala curnis e t'ó mitu lò in sul cômò
gh'à vignaò un dì d'una bàla primavaia
e in su un rogiu da sô una farfola culurò la vignaò in cô
la giraò e la sa pusaò su a tua curnis:
pènsa cun certèsa che l'è un saludu ch'al vegn d'ul Pàadis.

Il vecchio specchio
Un po’ di tempo fa, una bella mattina
mi sono messa a fare un po’ di mestieri in cantina.
Ho guardato un vecchio vestito
e senza saperlo ho trovato uno specchio.
L’ho guardato, l’ho rimirato e l’ho trovato opaco e macchiato.
Oh! anche tu mio caro specchio sei diventato vecchio!
Però anche se sei opaco e brutto, per me sei sempre bello
perché nascondi le rughe della mia pelle.
I bei tempi sono volati come il vento,
quando avevamo dieci centesimi in tasca, eravamo sempre contenti.
Mi rimiravo nello specchio ogni mattina,
a pettinare i capelli con la brillantina.
Son contenta di averti trovato ed un po' di valore ce l'hai ancora.
Ti ho fatto una bella cornice e ti ho messo là sul comò
verrà un giorno d’una bella primavera
e su un raggio di sole una farfalla colorata girerà sulla testa
girerà e si poserà sulla tua cornice:
pensa con certezza che è un saluto che viene dal Paradiso.


Simboli diacritici utilizzati
Si esemplificano i fonemi nel tentativo di rendere al meglio il parlato. In attesa che una
grammatica buscatese dirima alcuni problemi esistenti ben individuabili anche nei testi presentati.
Si è optato per una aderenza alla testimonianza orale (se disponibile) o tenendo conto di un piccolo
glossario costruito in questi anni di raccolta del materiale orale e che viene proposto di seguito.
Esemplificazione:
- é e chiusa : püs. (più); indrée (dietro); dés (dieci)
- è e aperta : pèna (appena); scèna (cena); andèm (andiamo)
- ó o chiusa : có (testa)
- ò o aperta : scapòo (scappato); cò (casa); Buscòo (Buscate)
- ö o di feu francese :incö (oggi); rigiö (capo famiglia)
- ú u chiusa : nú (no)
- ü u di mur francese : spüsa (puzza); lüna (luna)
- à a aperta di parole tronche: (sono rare,tende ad a velare)
- å suono intermedio tra a e o : råtu(topo); sciåtu(rospo)
- a a nasale di grand francese : quan (quando)
- s s sorda di soldato
- ś s sonora di rosa : spuś (sposo)
- cq-q acqua diviene aqua
- c e g in fine parola palatali : biroc (biroccio)
- sc, sg quando non sono in un unico suono si sciolgono in : s-giafun (schiaffone), s-cietåa
(spaccato)
- ê, â, ê, î, û, ô indicano un grado maggiore di chiusura o di allungamento delle vocali
- àa, òo, ùu, ée indicano nei participi passati o in alcune parole (asée, campée) una accentazione
in fine parola con la seconda vocale appena accennata
- ca, ga chi l'é ca l'ea (chi è che era) ; ga vègn giò (viene giù)

Interpreti
Mauro Martinenghi (voce narrante)
Loredana Branca
Carla Calloni
Maria Lucia Dumi
Angela Gianella
Rossella Fusar Imperatore
Giuseppe Ottolini
Francesca Pagnutti
Elio Pisoni
Mariuccia Pisoni
Gabriele Puricelli
Alessandro Ruggeri
Anna Villa

Poesie
Loredana Branca
Maria Colzani
Maria Ferrario
Pinuccia Merlotti
Pinuccia Ottolini Gambero
Elio Pisoni
Alessandro Ruggeri

Fotografie
Guglielmo Gaviani
Immagini di repertorio da Internet
Nobits (alcune foto della Villa Abbiate)
Museo Civico di Cuggiono (attrezzi agricoli e burattini)
Associazione 5 agosto 1991 (fotografie del Presidio di Mario Gobbi e Foto Pisoni)

Disegni
Manuela Furlan
Fabia Pivato
Tecnici del suono
Stefano Caretta
Claudio Turco
Filmati e montaggio video
Gian Piero Villa

Musica
Corpo Bandistico Città di Ispica
XIII Festival Internazionale Bande Musicali

Sceneggiatura e regia
Guglielmo Gaviani

Ringraziamenti
Movimento Terza Età di Buscate
Il Parroco di Buscate don Giuseppe Ornaghi e don Gesuino Locatelli
L'associazione 5 agosto 1991
Pubblicato sul canale di YOUTUBE da BUSCATEBLOG http://buscateblog.blogspot.it

© 7 giugno 2013


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